23 giugno 2022

IL SISTEMA E L'ASSURDO. Capitolo 3

 




3.


Shan, Fulvia, Gopal e Klaus si trovavano a bordo dell’astronave spaziotemporale HCV1, dopo aver seguito un corso accelerato di navigazione ultraliminale. Ciascuno di loro era comodamente semi-sdraiato in una poltroncina imbottita. L’ambiente interno dell’astronave era tutto color arancione, mentre i comandi e gli strumenti di rilevazione interna ed esterna erano azzurri e luminosi. Il primo viaggio stava per cominciare. 

Una certa inquietudine serpeggiava fra loro. Dopotutto non avevano la minima idea di dove sarebbero capitati. Sapevano, però, che se le condizioni esterne fossero state incompatibili con la loro fuoriuscita dall’astronave (pur utilizzando le straordinarie tute spaziali di ultima generazione), gli strumenti di bordo li avrebbero avvisati per tempo, e avrebbero potuto limitarsi ad osservare il mondo esterno attraverso le ampie finestre ovali poste sopra, sotto e ai lati della HCV1. Restava sempre, però, la possibilità che il mondo fosse compatibile con la fuoriuscita, ma contenesse minacce imprevedibili, non rilevabili dagli strumenti di bordo.

Era stato stabilito che la funzione decisionale del gruppo fosse assegnata a rotazione ogni nuovo “salto”-viaggio, e l’ordine della rotazione, deciso dall’Agenzia Spaziale era Gopal-Fulvia-Klaus-Shan. Toccava quindi a Gopal, per primo, decidere quando toccare il comando per iniziare il primo salto spaziotemporale.

Gopal si rese improvvisamente conto di essere, in quel momento, oltre che intellettualmente molto eccitato – ma questa era una sensazione che provava da molti giorni, più o meno da quando aveva appreso di essere stato scelto per quella missione esplorativa – anche fisicamente eccitato: percepì chiaramente un’accelerazione del battito cardiaco, sentì una sottile fitta alla gola, accompagnata da una contrazione involontaria del muscolo perineale.

Cercò di rilassarsi respirando profondamente. Alla sua eccitazione generale si mescolava un’ansia crescente, che divenne paura quando iniziò a muovere il braccio verso il comando della partenza. L’eccitazione svanì e si trasformò in un bisogno impellente di urinare. Sapeva che le tute da astronave consentivano di urinare ed evacuare liberamente, aspirando e neutralizzando automaticamente ogni secrezione corporea. Lasciò che la sua vescica si svuotasse, inspirò profondamente e toccò il comando.


Il decollo fu immediato. In pochi secondi videro la Terra allontanarsi e diventare un cerchio grigio-blu. Poi videro il sistema solare allontanarsi e la galassia rimpicciolire. Poi percepirono che la velocità stava aumentando enormemente perché videro le stelle trasformarsi in strisce luminose e iniziarono a sentire un rumore di fondo che si fece sempre più acuto. Poi ci fu l’impatto con il limite spaziotemporale. Capirono che non stavano più andando in una direzione, ma stavano attraversando il limite fra uno spaziotempo e un altro spaziotempo perché improvvisamente le finestre furono invase da una luce quasi accecante ed ebbero la sensazione di essersi improvvisamente fermati. La luce si trasformò in un chiarore lattiginoso, e capirono di essere andati “oltre”.

La cosa strana, però, fu che al di là non c’era un altro spaziotempo, come si aspettavano, ma uno spazio senza tempo. Non se ne resero conto subito, però, perché l’HCV1 era dotata di una sorta di “bolla” spaziotemporale, per cui gli orologi interni continuavano imperterriti ad avanzare. Il tempo, infatti, all’interno dell’astronave continuava a scorrere. Il tempo, dentro l’astronave, esisteva.

Dalle finestre si vedeva un chiarore molto leggero, ma si resero subito conto che non si trattava di un universo simile al nostro. Non c’era il buio tipico dello spazio cosmico a cui tutti siamo (o meglio, eravamo) abituati. C’era questo chiarore diffuso e la sensazione di uno spazio immenso, ma gli oggetti visibili non erano luminosi, erano di un colore grigio scuro, quasi nero. In sostanza le cose stavano in modo quasi opposto a quello in cui stanno nel nostro universo: lo spazio, invece che essere buio, era luminoso, ma di una luce tenue, e gli oggetti, invece che essere luminosi, erano opachi. 

Ma le stranezze non erano affatto finite: scoprirono ben presto che in quell’universo non ci si poteva muovere. L’astronave era bloccata nel punto in cui era giunta dopo il “salto”. Gopal provò più volte a dare energia ai motori, ma non c’era verso di spostarsi, neanche di un millimetro. Gli strumenti dicevano che era ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE USCIRE dall’astronave. La ragione, che avrebbero compreso in seguito, era appunto che in quell’universo il tempo era inesistente. Fortunatamente potevano osservare dalle finestre, e… la vista era spettacolare.

Dalla finestra sulla prua dell’astronave potevano osservare una lunghissima (in realtà infinita) serie di oggetti cubici. La cosa ulteriormente strana, che li disorientò non poco, era che erano posti in perfetto allineamento e che invece che rimpicciolire per il consueto effetto prospettico, via via che si osservavano quelli più distanti, ingrandivano

Fu Gopal a rompere il silenzio:

– L’unica spiegazione possibile di questa stranissima cosa è che si tratti di una successione di cubi realmente più grandi uno rispetto all’altro, e la cui variazione di grandezza è tale da “superare” l’effetto prospettico.

La sensazione era quella di una prospettiva rovesciata, ma fu Klaus a dire:

– Ma allora proviamo a guardare dietro!

In effetti l’ipotesi di Gopal venne confermata, perché dalla finestra sul retro si poteva osservare una serie decrescente di cubi allineati, visione più rassicurante perché non contrastava con l’effetto prospettico.

Shan si avvicinò maggiormente alla finestra di prua e provò a guardare, da quella finestra, verso l’alto e verso il basso: 

– Ehi! Venite a vedere, è incredibile!

Guardando verso l’alto si vedeva una successione crescente di ottaedri, più in alto ancora di dodecaedri e ancora più su di icosaedri.

Gopal andò a prendere un telescopio elettronico e lo puntò verso l’alto (ma sempre dalla finestra anteriore):

– Si vede una successione di sfere!

– E più in alto ancora? – chiese con ansia Shan.

– Vedo altre successioni di solidi complessi, solidi stellati… poi … non riesco più a distinguere ma si direbbe ci sia dell’altro…

– No, non è possibile…! – escalmò Fulvia che stava guardando dalla finestra anteriore verso il basso.

Dopo la (a questo punto prevedibile) successione crescente di tetraedri, seguivano, più in basso, successioni di figure geometriche bidimensionali. Inizialmente vi erano cerchi pieni, dischi allineati in ordine di grandezza, poi altre figure simili a dischi, ma il cui contorno era formato da piccolissimi lati. Guardando ancora più in basso, con il telescopio elettronico, Gopal disse:

– Ci sono via via poligoni più semplici, con meno lati, ma più in basso dell’ottagono non riesco più a vedere…

Fu Fulvia a trarre le prime conclusioni:

– Colleghi, credo proprio si possa dire che questo è un universo che racchiude tutte le forme geometriche nella loro purezza, ordinate per grandezza e per complessità…

Shan era affascinata da quelle visioni. Si spostò lentamente indietro, verso il centro dell’astronave, e guardò attraverso la finestra ovale del pavimento, verso il basso; poi rivolse lo sguardo verso l’alto… Nel frattempo gli altri tre stavano ancora contemplando la scena visibile dalla finestra anteriore.

Shan vide qualcosa di molto strano, ma era talmente scossa da quella visione che non riusciva ad aprire bocca per chiamare gli altri. Si trattava di una sorta di struttura a strati, che proseguiva in “verticale” sia verso l’altro sia verso il basso rispetto all’astronave. Ogni “strato” era composto da gruppi di oggetti che si somigliavano per gruppi; ogni oggetto sembrava avere forma irregolare ed era di un colore diverso dal grigio scuro dei solidi osservabili dalla finestra della prua: erano di un bruno rossastro. Lo strato osservabile per primo, dalla finestra del pavimento, era tutto formato da gruppi simili fra loro, ma ciascuno formato da oggetti con forme diverse, uniformi nel singolo gruppo… Shan era incredibilmente attratta da quelle strane cose, e non riusciva a capire cosa ci fosse di così attraente. Poi iniziò a capire… Cominciò a contare e si rese conto che lo strato osservabile per primo era tutto composto da gruppi di undici oggetti: undici oggetti con forma simile a quella dei ricci di mare, undici oggetti simili a piccoli attaccapanni, undici cose simili a molle, undici cose simili a birilli… e questi gruppi di undici oggetti erano tutti allineati su uno “strato” che si estendeva (potè constatarlo guardando dalla finestra di poppa e dalle finestre laterali) a perdita d’occhio. Sotto a questo strato, c’era uno strato con gruppi di dieci oggetti, ciascuno sempre diverso, cioè composto da oggetti simili fra loro, ma diversi da un gruppo all’altro. Più sotto gruppi di nove, più sotto gruppi di otto… Dalla finestra superiore si vedeva un strato composto da gruppi di dodici, più sopra da gruppi di tredici… Shan era talmente elettrizzata e presa dalla curiosità di contare gli elementi dei gruppi per verificare se la sua ipotesi, che si stava formando nella sua mente, fosse vera, che non rese conto che gli altri tre stavano ancora osservando e ragionando su quanto era visibile dalla finestra di prua.

Dopo alcuni minuti, che a Shan parvero interminabili, si avvicinò ai suoi tre compagni di viaggio, ancora presso la finestra di prua, e disse con voce rotta dall’emozione:

– Colleghi, è incredibile… più indietro nello spazio… ci sono… 

Non riusciva a pronunciare quella parola.

– Cosa? Cosa? Parla!! – la incalzò Klaus.

– Ci sono i numeri! – riuscì infine a dire Shan.

– Ma non è possibile! – sbottò subito Gopal – gli ontologi ormai concordano sulla tesi che i numeri non esistono!

– Forse non esistono nel nostro universo, Gopal, ma ti ricordo che qui siamo in un altro universo! – intervenne Klaus con voce penetrante.

In breve tempo si recarono tutti verso il centro dell’astronave, e iniziarono osservazioni sistematiche.

– È pazzesco! – disse dopo un po’ Fulvia – tutto ciò sembra confermare l’ipotesi, formulata tanti secoli fa, che i numeri sono insiemi di insiemi.

Gopal era molto scettico, anche se subiva il fascino estremo che quegli strati, ordinati per gruppi equinumerosi in ordine crescente verso l’alto, emanavano: era una sorta di piacere estetico che proveniva, come ad ondate, da quella struttura  vastissima, di proporzioni infinite, perfettamente immobile:

– Ammettiamo anche che sia vero, e si rivolgeva a Fulvia e a Shan contemporaneamente (Klaus, estasiato, stava continuando a guardare fuori…), ma in ogni caso questi non sono I numeri, sono soltanto i numeri naturali…

E ti pare poco?? – intervenne Klaus – Questo primo universo in cui siamo capitati è tutto l’opposto del nostro, qui l’ordine si mostra da sé, o addirittura, si potrebbe dire, questo universo è ordine in sé.

– Mentre nel nostro – convenne Gopal – l’ordine è qualcosa di molto raro, e va cercato con grande fatica, dispendio di energie intellettuali e risorse materiali ingenti…

– Le ossa di Platone – commentò infine Fulvia – se esistono ancora da qualche parte, staranno cozzando l’una contro l’altra per esprimere una grande risata di soddisfazione!


Dopo un mese terrestre di osservazioni minuziose al telescopio elettronico, i quattro si rimisero alle postazioni di decollo, pronti ad affrontare il secondo viaggio.

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